Siamo lieti di recensire l’ultima fatica editoriale di un attento studioso del mondo arcaico e misteriosofico quale è Stefano Arcella, che già si era fatto conoscere al pubblico di settore col suo “I Misteri del Sole”, un mirabile approfondimento del culto mithriaco, sempre per le benemerite Edizioni Controcorrente di Napoli. Nel suo “Misteri Antichi e Pensiero Vivente” l’autore pone in essere un’analisi ermeneutica concernente l’intero mondo dei Misteri Antichi, con una bibliografia di supporto davvero lodevole e con un rigore filologico davvero raro nel mondo dell’attuale mondo tradizionalista.
Oltre ad un’introduzione, in cui vengono esplicitati il contesto della ricerca e la metodica della stessa ivi utilizzata sempre in ottica unitariamente tradizionale e scientificamente provata, il testo è strutturato in sezioni tematiche, riguardanti le diverse componenti geografiche in cui si sono manifestate le realtà sacrali ed iniziatiche, di cui si tematizza. La prima di tali sezioni è dedicata ai Misteri Greci, con riferimenti particolari all’iniziazione eleusina, alla spiritualità orfica ed anche all’enigmatica quanto essenziale figura numenica di Dioniso, oltre che ai culti di Samotracia e di Andania. In relazione a ciò, due aspetti ci hanno colpito particolarmente, di cui vorremo rendere edotti i nostri lettori.
Il primo si configura nell’unicità del percorso interpretativo di Arcella, che non si limita ad una pura costatazione testuale, ma ha l’apprezzabile capacità di riconnettere la spiritualità misterica con forme di ascesi tutt’ora valide e viventi. Nello specifico, riferendosi ad Eleusi, nel testo si fà esplicito riferimento all’ascesi antroposofica di Rudolf Steiner, che non poche conferenze ha tenuto nel corso della propria esistenza sul tema della sacralità arcaica:
“Era una scienza interiore, fondata su un’esperienza intima. In questo senso, la lettura di Steiner si accorda perfettamente con quanto diceva Aristotele sui Misteri intesi come esperienza ed emozione e non come apprendimento cerebrale” (p. 35).
Il secondo aspetto della sezione greca che vogliamo valorizzare e porre in evidenza riguarda le considerazioni che l’autore esprime circa la stretta relazione esistente tra i Misteri Cabirici e le origini ancestrali di Roma, seguendo le gesta di Dardano quale eroe primordiale e fondatore della stirpe italico – troiano – romana:
“Dardano sarebbe partito dall’umbilicus Italiae, il centro sacro dell’Italia, presso il lago di Cotilia nell’Italia centrale, località di cui sarebbe stato originario, per cui lo sbarco di Enea nel Lazio e la successiva fondazione di Roma da parte dei suoi discendenti assume il senso di una re-volutio, ossia un ritorno alle origini…” (p. 83).
La seconda sezione, poi, è incentrata sui Misteri Egizi, e soprattutto sul mitologhema di Iside ed Osiride, così come riportato da Plutarco, ma soprattutto da Apuleio nelle sue Metamorfosi. Tale riferimento è fondamentale nello scritto di Arcella, perché nella trattazione sulla mistagogia egizia nella sua triplice gradazione, ctonia – isiaca – osiridea, l’autore ritrova la radice di uno specifico insegnamento iniziatico, riportato alla luce ai primi del ‘900 prima da Steiner, poi dal Gruppo di Ur ed infine da Massimo Scaligero. Nel passo XI, 23 delle Metamorfosi, Apuleio avrebbe trattato di un’esperienza estatica di morte e rinascita, quale preludio all’affioramento interno di una speciale luce spirituale, la quale si ricollega alla pratica ermetica del “Sole di Mezzanotte”, quale approccio a pratiche ascetiche e di visualizzazione “nutrite col dolce fuoco di un Amore sottile” (p. 111).
Sempre nella sezione egizia, interessanti risultano essere le considerazioni dell’autore circa il rapporto tra il culto isiaco e la religione romana, caratterizzato da alterne vicende, da forti simpatie come quelle di Cesare e della dinastie, ma anche da una forte diffidenza, che si concretizza, per esempio, nell’estromissione dal pomerio dell’Iseo da parte di Augusto. Vi era, secondo Arcella, uno iato tra il senso sacrale della gravitas romana ed alcune manifestazioni devozionali del culto isiaco, ma l’innesto e la caratterizzazione di quella che l’egittologo Boris De Rachewiltz denominò la “Roma Egizia” si inquadra in
“un bisogno di contatto diretto con la divinità che la religione romana tradizionale, nella sua ufficialità liturgica, non riesce più a soddisfare. La dea <> (dai molti nomi) riassume in sé l’archetipo della Dea madre, ordinatrice dell’universo, datrice di Vita spirituale, donatrice dell’Acqua di Vita, apportatrice di Fortuna, secondo quella tendenza, tipica del paganesimo tardo – imperiale a riassumere in una sola divinità le molteplici presenze divine, viste come espressioni di un’Entità unica, Numen multiplex, come dicevano gli Antichi” (p. 122).
La terza sezione è quella concernente i Misteri Frigi, nei quali preponderante è il riferimento al mito di Cibele e di Attis, alle sue dinamiche simboliche e di palingenesi ermetica, quale lacerazione interiore e sublimazione della brama istintuale e sessuale. Nella medesima sezione, inoltre, un’importante accenno viene fatto alla Cibele romana, al culto della Mater Magna.
La quarta sezione è, per noi, il vero scrigno d’oro contenuto nello studio appassionato di Stefano Arcella e riguarda l’approfondimento dei Misteri Pagani nel Rinascimento. Riscoprendo le tracce del platonismo rinascimentale, delle sue accademie, degli insegnamenti di Gemisto Pletone, di Marsilio Ficino, di Pico della Mirandola, l’autore consente al lettore un viaggio allegorico e magico all’interno dei simboli più importanti del mondo classico, come quello di Afrodite e dell’Amor Sacro, del mito dell’Androgino, di Poros e Penia. In tutta codesta parte della trattazione, ogni riferimento, ogni funzione sacrale ed anagogica, riveste ed interpreta un medesimo modus operandi, quello alchimico e teurgico della ricerca non devozionale dell’Uno apofatico:
“I neoplatonici del ‘400, nell’evocare le Muse ispiratrici e protettrici delle arti – articolazioni ed aspetti diversi del dominio di Minerva – e nell’evocare l’Idea di una grande riforma spirituale in Occidente, posero al centro ed al vertice della loro speculazione la riflessione sull’Amore quale Via di ricerca interiore per pervenire alla visione dell’Uno” (p. 168).
La ricerca interiore, pertanto, è il filo rosso che ricollega tutte le varie espressioni misteriche, dall’evo antico al Rinascimento, ed è per tale motivo che l’autore, che già si era rifatto a Steiner in merito all’iniziazione eleusina, conferma quella continuità iniziatica con la dottrina del Pensiero Vivente, esplicitata in Italia da Giovanni Colazza, da Massimo Scaligero e da Pio Filippani Ronconi. Tale pensiero ridestato dalla cerebralità rivive dall’antichità anche in Goethe, nell’intuizione della Forma Originaria, si differenzia da Ficthe e da Hegel per la mancanza in costoro di una dimensione sperimentale e si realizza nell’Operatio Solis, quale ritrovata saggezza cardiaca, che sublima la limitatezza della ragione e della coscienza psicologica. Essa non costa di sofismi, di elucubrazioni teoretiche, ma, al contrario, di una precisa e puntuale pratica operativa, divenuta parte importante ed irrinunciabile dell’esperienza e degli insegnamenti del Gruppo di Ur:
“La spiritualità solare viene vissuta e inverata nei termini di una immanenza del Sole spirituale, ossia la presenza in sé della trascendenza che si è resa immanente… E’ il senso profondo, sub specie interioritatis, della tauromachia mithriaca…” (p. 205).
Il testo, infine, si conclude con un’interessante appendice dedicata ai cicli cosmici ed alle dinamiche dell’Ultima Era, con spunti di non poco valore. In tale ambito, l’eccelso lavoro di Stefano Arcella è possibile inquadrarlo quasi come uno manuale della spiritualità perenne, che ha la capacità di cogliere il senso di eternità da forme iniziatiche del passato, anche remoto, per trasporle sapientemente in una possibile codificazione ed applicazione contemporanea. In ciò, a nostro parere, si esplicita l’importanza e la cogenza di tale pubblicazione, che consigliamo vivamente a tutti i lettori di EreticaMente.
Luca Valentini