È consuetudine durante le visite all’estero di un capo di governo o di un ministro di qualsiasi nazione evitare riferimenti più o meno diretti alle vicende di casa propria: non sono i palcoscenici internazionali quelli destinati a rappresentare i problemi interni di uno Stato.
Questa dovrebbe, in linea teorica, essere la prassi. In realtà oramai da tempo quasi tutti i leader mondiali non perdono tempo per utilizzare ogni occasione per concentrare le loro dichiarazioni contro quelli che sono i loro veri o presunti nemici interni dibattendo con la stampa di un paese straniero delle vicende interne o dei problemi che sorgono nella vita politica nazionale del proprio paese.
A questa prassi sembra non essere sfuggito Sa’ad Hariri 47enne primo ministro libanese, leader del movimento politico a maggioranza sunnita della ‘Corrente Futura’ che è alla guida di un esecutivo sostenuto dai partiti sciiti con al suo interno ministri appartenenti ad Hizb’Allah ed al fronte patriottico.
Al quotidiano romano La Repubblica, Hariri ha rilasciato una lunga intervista nel quale sostiene di “governare con i nemici di mio padre”, Rafiq, ucciso il giorno di San Valentino di dodici anni fa (14 febbraio 2005) da un’autobomba piazzata sul percorso che lo stava portando dal palazzo del governo verso il lungomare. Un attentato che aprì una lunga stagione di stragi e violenza politica caratterizzata dalle reciproche accuse fra i due fronti contrapposti della politica libanese.
L’intervista intendeva sottolineare lo stato di relativa calma che da anni si vive nel paese dei cedri il quale si trova incuneato fra quelle che sono le spinte islamiste radicali ed una voglia di modernità palpabile nelle giovani generazioni, tra i rischi sempre presenti di nuove aggressioni sioniste dal sud a quelli altrettanto reali del terrorismo salafita dalla confinante Siria a nord-est.
Innanzitutto fin dalla prima domanda viene sottintesa una responsabilità più o meno diretta di Hizb’Allah nell’assassinio dell’ex premier Rafiq Hariri tutta da dimostrare. Il figlio scinde tra responsabilità di governo e affetto e ricordo familiare dicendosi certo che sarà il percorso della giustizia a condannare i colpevoli della morte di suo padre. Che poi questi ultimi siano realmente membri del Partito di Dio filo-iraniano questa è un’altra questione. Al momento si parla di ipotesi, e neanche delle più soddisfacenti sotto tutti i punti di vista.
Alla domanda relativa alle differenze sostanziali tra il suo movimento e quello guidato da Hassan Nasrallah diplomaticamente Hariri risponde che si è «…deciso reciprocamente di mettere da parte le differenze. Lavoriamo insieme sulle cose, piccole o grandi, che possono servire al Libano» così come altrettanto chiaro il messaggio relativo all’eventualità che il paese dei cedri possa ripiombare nuovamente in un conflitto civile dopo il dramma dei quindici anni di guerra che lo videro piombare in un autentico inferno senza fine dal 1975 al 1990.
Hariri non ha utilizzato mezzi termini condannando qualunque violenza che possa mettere a repentaglio la convivenza civile tra i libanesi. Un punto fermo sul quale crediamo non ci sia alcun dubbio considerando quanto il Libano vi sia andato vicinissimo nel biennio 2005-07 e quali drammi porterebbe ad una nazione che ancora oggi con difficoltà vuole uscire dalla pluriventennale occupazione israeliana dei suoi territori meridionali.
Non riuscendo a cavare un ragno dal classico buco l’intervistatore prosegue spostando il tiro sulla Siria di Assad e sul ruolo futuro che potrà giocare il Presidente siriano nella geopolitica dell’area vicino-orientale.
Hariri non perde tempo nel condannare il “regime” siriano, sparla di Assad che avrebbe «iniziato a uccidere il popolo», di democrazia negata e di guerra civile dimenticandosi che questo è un conflitto che è stato imposto alla nazione siriana dagli Stati Uniti e dai loro alleati regionali (Turchia in primis e Arabia Saudita, petrolmonarchie del golfo e paesi arabi cosiddetti ‘moderati’ filo-occidentali quali Giordania, Egitto e altri della fascia nordafricana del Maghreb) con l’obiettivo di defenestrare un Governo considerato scomodo che per anni ha giocato un ruolo di primissimo piano all’interno della Lega Araba rappresentando l’ultimo baluardo contro Israele.
A detta di Hariri il problema sarebbe Assad. Assurdo considerato ciò che sei anni e mezzo di conflitto siriano ha portato in superficie: le stragi indiscriminate dei gruppi terroristi d’ispirazione salafita e wahabita, la destabilizzazione di una nazione mediante terrorismo e violenza, la nascita di un’entità criminale denominata ISIS che ha finito per assumere il controllo della galassia islamista nella regione a cavallo tra Iraq e Siria promuovendo attentati e violenze al di fuori del perimetro geostrategico del Vicino Oriente.
Non è Assad il problema. Lo sono casomai tutti quei paesi che hanno finanziato, sostenuto, armato militarmente e per anni chiudo non uno ma due occhi Daesh ed i suoi tagliagole; quelli – come la Turchia di Erdogan – che dagli incappucciati neri del sedicente Califfato acquistavano petrolio; quanti ne hanno direttamente o indirettamente appoggiato le gesta salvo poi rendersi conto troppo tardi di quale ennesima mostruosità fosse stata partorita dalla politica del laissez faire statunitense ed occidentale.
Così Hariri non può esimersi dal sottolineare inesistenti responsabilità del Governo ba’athista siriano e dalla condanna di altrettanti intromissioni russe ed iraniane nel conflitto civile del vicino siriano dimenticando di quanto labile sia il confine tra Stati e nazioni quando di mezzo ci sono organizzazioni terroristiche internazionali quali al Qaeda o l’Isis-Daesh che riescono a spostare armi, finanziamenti e uomini da un continente all’altro, radicalizzandosi in Europa come nel resto del mondo musulmano attraverso l’opera di propaganda-proselitismo anche attraverso la rete informatica e grazie ad una colpevole sottostima del pericolo (errata valutazione o comprensione del fenomeno in questione) di cui hanno dato prova per molto tempo i principali servizi d’intelligence occidentali e arabi.
Visto che il terrorismo alqaedista e salafita ha colpito in passato pesantemente il paese dei cedri (rivolta interna al campo profughi palestinese di Nahr el Bared a Tripoli nel nord del Libano dell’estate 2007) e considerando che anche recentemente si sono verificati attentati con vittime e rapimenti di militari e poliziotti libanesi sarebbe bene che Hariri riflettesse prima di (s)parlare di “intromissioni” russe o iraniane nel conflitto siriano.
Da oltre sei anni la Siria rappresenta il fronte caldo dell’emergenza terroristica globale: dal paese sono emigrate decine di migliaia di persone sconvolte da un conflitto civile ad altissima intensità voluto e finanziato dalle centrali d’intelligence USA, dal Mossad israeliano, dalla vicina Turchia e dai paesi del Golfo.
Iran e Russia sono intervenute sia a difesa del legittimo Governo di Bashar al Assad sia dei propri interessi nella regione che, di sicuro, non sono coincidenti con i desiderata di Washington, Londra, Parigi, Tel Aviv, Riad o una delle tante capitali arabe interessate.
La Russia, presente militarmente con una base navale a Tartous fin dagli anni Settanta, non ha fatto nient’altro che difendere il suo miglior alleato nella regione così , analogamente, ha deciso la Repubblica Islamica dell’Iran principale sodale di Damasco fin dai primi anni Ottanta.
Ed è evidente che la parola finale, nel conflitto siriano, spetterà anche a russi e iraniani senza i quali non sarà possibile giungere ad alcun processo di pacificazione. Una pacificazione che dovrà tenere in conto anche la presenza ed il futuro ruolo di Assad mai, come oggi, deciso a rimanere – più che giustamente peraltro – alla guida della Repubblica Araba Siriana. Piaccia o dispiaccia agli Hariri di mezzo mondo arabo.