Pubblichiamo con piacere un articolo scritto da Gaetano Troisi (autore de “La Grande Muraglia nel porto di Salerno”) e distribuito dallo stesso brevi manu durante il convegno “Andare avanti per andare più avanti ancora. In memoria di Pietro Golia”, svoltosi il 4 marzo scorso presso l’Antisala dei Baroni del Maschio Angioino (Napoli).
La Redazione di Controcorrente
L’eredità di Pietro Golia, editore, meridionalista e scrittore
di Gaetano Troisi – Salerno, 9 febbraio 2017
Se non l’avessi incontrato sul mio cammino, difficilmente mi sarei appropriato della mia identità di cittadino italiano defraudato del senso delle origini storiche. Una riscoperta che ha rivoluzionato la mia formazione civica, con l’affacciarmi su panorami che l’hanno arricchita e completata. Era ineludibile che accadesse, saltato il fossato che per decenni aveva limitato il mio mondo culturale.
Pietro Golia era, non solo per me, punto di riferimento per affacciarmi sui tanti versanti del sapere – scientifico storico letterario – e per revisionare, dove necessario, le mie conoscenze sul passato storico delle nostre popolazioni. Per questo invogliava a riscoprire la Patria originaria, liberandola dalla patina che l’appannava. E in questa opera di emancipazione mi figuravo l’intelligenza vivida di mia madre, andata non oltre la sesta elementare in un villaggio dell’entroterra irpino, conosciuto per le sue miniere di zolfo. Mi appariva con tutto il suo orgoglio quando mostrava di avere una certa familiarità con le cose che stavano scritte sui libri di testo che cominciavo a studiare: mi elencava i componenti dei reali di Casa Savoia mandati a memoria ai suoi tempi di scuola. In silenzio, mi intrattenevo su questo scenario solo per convincermi che il vincitore non lascia mai scampo ai vinti: per assicurare a lungo la sua presenza di meglio non c’è che l’indottrinamento ad usum delphini, come meglio si direbbe oggi: espediente per nascondere la verità sulla conquista regia del Sud e quel che ne era seguito.
Di queste e di altre cose parlavo con Pietro nelle nostre conversazioni fugaci, e lui che era il maestro partiva da Federico II, credo non senza ragione, per risalire alle prime avvisaglie di un sentimento di appartenenza che si annodava intorno alla riscoperta delle radici comuni.
Erano scambi culturali fugaci, nelle rare occasioni di un colloquio diretto. Stare in Galleria, seduti a un tavolo dinanzi al solito bar, sulle stesse mattonelle del precedente incontro, mi appariva come segno del suo radicamento nella storia degli avi, nel succedersi delle generazioni e degli eventi che li avevano spazzati via dalla Storia. Mi appariva perciò come il vindice dell’oltraggioso deficit della memoria collettiva: la montagna dei libri editi da Controcorrente, la casa editrice creata dal niente, era prova non di un editore che faceva per mestiere quel che doveva ben fare, ma di chi è impegnato in un’opera gigantesca di riscatto, di formazione e di verità. Con scrupolo esemplare, erano tutti da Lui letti e riassunti, riversandone poi la sintesi, con leggerezza e perizia, sulle “alette” della relativa copertina. Era la missione indefettibile alla quale si era votato e il fine supremo verso il quale convogliava ogni sua attività, senza risparmio dei sacrifici cui incredibilmente si sottoponeva e senza darlo a vedere.
Mi apprestavo ad incontrarlo nei primi giorni di questo febbraio per un confronto sul mio ultimo libro affidato alle Sue cure, ed ero in attesa dei suggerimenti che riteneva di dovermi dare; io, ansioso di conoscerli, lo invitavo a trasmettermeli via e-mail. Ma, giustamente, Pietro mi richiamava alla necessità di un incontro sereno, come uno di quelli che pure non erano fra noi mancati. Ricordo il suo sguardo penetrante, fisso nel mio, come se avesse da dirmi cose che non sapevo né potevo immaginare. Ora tutto mi è atrocemente chiaro. E mi meraviglio di averlo cercato ininterrottamente per telefono per ben due giorni, in attesa di una risposta che non poteva venire: non mi era passato per la mente minimamente il sospetto che qualcosa di irreparabile poteva essere accaduto. La tragedia si era già consumata quando l’ho scoperta, navigando tra le notizie varie comparse su internet.
Lo ricordo in particolare nel devoto raccoglimento dentro la chiesa sugli spalti di Gaeta, in uno degli ultimi raduni di impegno culturale sulle nostre radici storiche. L’ammiravo per la sua fede e nel contempo sentivo accentuarsi il peso della mia estraneità: qualche volta mi sono aperto con Lui su questo “mio” problema, e sono certo che mi sarebbe stato di grande aiuto nel continuare un confronto, ormai impossibile, con la mia storia personale e le insidie di un terreno minato. L’occasione decisiva è mancata.
Nel vuoto che segue alla Sua scomparsa, resta tuttavia l’esempio di una vita spesa in tutto e per tutto al servizio del riscatto del Mezzogiorno, proprio di chi aveva la vista lunga: dapprima riscatto di natura culturale, con la presa di coscienza di essere popolo, poi il resto, per arginare la dipendenza di cui spesso parla un illustre meridionalista, il calabrese Francesco Tassone, che per quasi cinquanta anni si è sobbarcato alla non lieve fatica di pubblicare, prevalentemente a sue spese, la rivista Quaderni calabresi – Quaderni del Sud: rivista per tanti aspetti parallela a Nord e Sud, rivista curata da un altro non meno illustre meridionalista di origine calabrese, Francesco Compagna: entrambi votati al tema dell’insoluta Questione meridionale.
Mi accorgo di avere interpretato, almeno in parte, la poliedrica figura di Pietro Golia. Il confronto a tutto campo che avrei potuto avere con Lui, e al quale aspiravo, era stato appena avviato. Credo però di non essere lontano dal vero se riferisco che, al suo cospetto, sentivo di trovarmi dinanzi a un fratello maggiore, a dispetto della mia maggiore età. Il Movimento meridionalista da Lui ideologicamente sostenuto mi collega non solo al passato di un’eredità ideale e letteraria ma, direi, effettuale, per vita vissuta, fianco a fianco con quanti mi hanno accompagnato nei tratti non brevi del mio cammino culturale e politico.
Fra costoro, mi piace ricordare Rocco Brienza da Rionero in Vulture (Potenza), mio compagno di studi all’Università di Napoli. A lui devo il primo incitamento a dare cornice politica al mio impegno culturale; e a lui devo il mio ingresso dinamico nel mondo politico, a cominciare dalla conoscenza di Adriano Olivetti, in un suo famoso discorso tenuto al Cinema delle Palme, in Napoli.
Tutto ciò mi rutilava nella mente al cospetto di Pietro Golia, anche se non vi facevo cenno in maniera esplicita. Mi era di stimolo a estrapolare il filo conduttore del mio impegno politico consumato nell’hinterland irpino, in un paesino decimato dall’emigrazione dopo che era stato centro di immigrazione quando le sue miniere di zolfo davano lavoro a tutta la Valle del Sabato.
La Sua eredità – o quel che rimane dell’insegnamento di Pietro Golia – si lega al filone meridionalistico nelle sue varie diversificazioni. Con la Sua improvvisa scomparsa si impoverisce non solo il tessuto culturale di Napoli ma di tutto il Mezzogiorno. Le Sue provocazioni o incursioni anche nel campo letterario erano tese a promuovere il vero riscatto del Sud: soltanto quello materiale, limitato a opere importanti in poche aree privilegiate, non può bastare: crea l’illusione del riscatto, non la crescita diffusa e omogenea di tutto il territorio, a tutt’oggi desertificato dall’emigrazione di massa con la perdita delle energie migliori, specie tra i giovani.
L’esperienza politica di Pietro sul versante che non mi era appartenuto perdeva ogni importanza ai miei occhi; insieme si convergeva verso l’obiettivo comune: liberarci dalle catene della schiavitù, cominciando da quelle di natura culturale. La creazione di Controcorrente, la nuova casa editrice, era strumento idoneo a rinverdire l’orgoglio dell’appartenenza, su basi nuove e durature. A questo ho pensato più volte, sotto lo sguardo assorto e penetrante di Pietro, l’uno di fronte all’altro, seduti dinanzi a un tavolo, in Galleria. Venuta meno la Sua guida operosa e geniale, trovo difficoltà ad adattarmi al vuoto che ha lasciato dietro di sé. Ma so per certo che di meglio non avrebbe desiderato se non veder continuata la Sua opera. E l’unico sollievo che provo sta proprio nella certezza che il Suo alto impegno civico ed editoriale sarà degnamente onorato.