I cittadini di Pompei dicono basta! Non ne possono più. La notizia della revoca dei tavolini da Piazza Bartolo Longo da parte della soprintendenza ha provocato indignazione. «Mal si sopporta questa ingerenza da parte della soprintendenza in un luogo non archeologico.» Sono le parole di Giovanni Precenzano, attivista di Pompei e fondatore con alcuni giovani al movimento politico Pompei Ribelle. «Si pensi che il Santuario è terminato agli inizi del 1900 ed il campanile nel 1925! Quindi l’area interessata, cioè la città (nuova) attuale dovrebbe essere staccata da qualsiasi vincolo storico-architettonico.»
Questo fa capire come la politica locale in questi anni sia sempre stata servile alle logiche di partiti italiani, dove gli stessi siedono anche ai vertici anche delle sopraintendenze e che detengono un potere extra assoggettando facilmente le nostre città archeologiche attraverso “gli ordini di partito”. Pompei purtroppo non gode dei proventi dei flussi turistici che si aggirano sui tre milioni per l’area archeologica, la biglietteria è gestita da Coopculture, azienda del nord che raccoglie tutti gli incassi intrattenendosi la sua percentuale (si vocifera almeno del 30%) prima di arrivare a Roma. Cosa ci rimane a Pompei? Niente! Abbiamo visto i governi nazionale battere i pugni a Bruxelles quando devono chiedere aiuti per salvare Pompei per poi gestirli secondo le “clientele costituite”, cioè appaltare alle solite ditte del nord, come se in zona non fossimo all’altezza di poter restaurare o decorare. I politicanti pompeiani nemmeno in questo sono stati scaltri, ovvero fare in modo che parte dei lavori potessero essere appaltati con ditte locali, se non in qualche sporadico caso. Ho incontrato alcuni cittadini di Pompei, rappresentanti di categoria, movimenti politici, esercenti, polizia locale e persone comuni, per tastare l’umore; il malcontento è altissimo, si è creato il presupposto di scendere in strada per ribellarsi, chiedendo di riappropriarsi dei loro spazi. Infatti mercoledì 30 novembre alle ore 15 ci sarà un assembramento (flash mob) nella piazza antistante il Santuario. Organizzato da Pompei Ribelle (movimento politico popolare identitario), l’Ascom presidiata da Alessandro di Paolo e coinvolgendo ovviamente tutta la cittadinanza.
«La piazza Bartolo Longo è l’unico luogo di aggregazione della città e la revoca dei tavolini è un atto di cecità politica da parte dell’attuale commissario prefettizio, spinto dalla pressione ed ingerenza della sopraintendenza. Questa città aveva un circolo dei forestieri, una biblioteca comunale, la fonte salutare, oramai tutto in via di smantellamento, e toglierci anche l’unica piazza fruibile è troppo. Siamo decisi e fermi su questo argomento, vogliamo una città vivibile, migliorare la viabilità attuale, aprire aree pedonali per incentivare il commercio. Tra l’altro intorno agli scavi ci sono aree verdi che potrebbero essere tranquillamente relegate all’esterno degli scavi e renderle fruibili alla cittadinanza ed anche per un miglior flusso dei visitatori.» Così si è espresso il presidente ASCOM Alessandro di Paolo.
Interessante è anche l’intervista del direttore di questa testata Michele Cinque a Giuseppe Artuso, edicolante deportato in piazza Schettini per giustificare il finanziamento dei soldi pubblici: «Sono stato l’agnello sacrificale del sindaco D’Alessio», con queste parole interviene l’edicolante deportato (vedi video)
Sembrerà incredibile, una città come Pompei, con i suoi milioni di turisti, e aggiungiamoci anche quelli religiosi e superiamo tranquillamente i 4 milioni, vedere la disoccupazione giovanile al 60/70% è un totale controsenso. La costruzione di un Hub ferroviario, dove da Roma partirebbe un treno ultra veloce che bypassa anche Napoli, per intrufolarsi direttamente negli scavi e costruire qualche edificio dove questi turisti possano rifocillarsi, il tutto senza mettere piede nella città, quindi a indotto zero è insano, fuori da ogni logica turistica e commerciale. Il “No Hub” come la No Tav? Sembrerebbe proprio di si. A meno che non si riconsideri il progetto, utilizzare queste risorse a valorizzare il territorio, incentivare un turismo legato soprattutto ad una maggiore presenza nelle numerose strutture turistiche che, a sentire tutti questi numeri sembrerebbero sempre piene, purtroppo non è così. Il turista viene a Pompei per starci al massimo mezza giornata, i tour operator lo sanno bene, sono i veri padroni di casa, plagiano i visitatori a monte, cioè iniziano a gestire i clienti già quando sono nelle navi croceriste per offrendogli un vademecum orale su come devono comportarsi a Pompei, dove bere e dove mangiare, rendendoli ostaggio degli accompagnatori usando deterrenti come gli scippi o criminalità locale, trasmettendogli solo paura, e quindi speculando per i propri interessi.
Ho intervistato una nota albergatrice di Pompei, molto decisa a far sentire la sua presenza per il flash mob di mercoledì (rispettiamo la sua volontà di rimanere nell’anonimato):
«Responsabilità sociale! questo è quello che ci muove! Faccio una riflessione prima come cittadina e poi come imprenditore. Se la soprintendenza ha eretto muri per tutelare un bene di cui è responsabile, se la chiesa ha delle mura per tutelare un bene di cui è responsabile, anche noi vogliamo un muro per tutelare in nostro bene, che è la vivibilità, la serenità, la sostenibilità, la libertà di vivere la nostra città! Ogni singolo cittadino ha diritto di decidere, insieme alla amministrazione, per il proprio bene. E questo non lo garantiscono ne la soprintendenza ne la curia! La commercializzazione delle 2 entità culturale e religiosa che vivono all’interno della città di Pompei deve passare per il bene dei cittadini. POMPEI CITTA’ esiste ed è un contesto socio-culturale autonomo, difatti la maggior parte di questo vive senza dipendere dal business turistico e/o religioso. Solo una piccola parte di Pompei vive di turismo, ma tutti i comuni cittadini, ne vivono i disagi, ed oggi ancora di più, perché in accordo con il governo centrale essi stanno minacciando la nostra vivibilità e sopratutto si stanno preparando ad uno stravolgimento del nostro territorio. In accordo con le multinazionali hanno deciso di costruire e depauperare un territorio che da anni rispettiamo e tuteliamo! Una idea di internazionalità e globalizzazione dell’offerta turistica che non tiene conto della struttura urbana e sociale di questa territorio, e in barba a tutte le nuove tendenze di turismo, basate sulla sostenibilità essi vogliono imporre il depauperamento territoriale e sociale con l’arrivo di Flussi turistici che provvederanno a spennare come polli, per offrirgli quello che chiamano accoglienza turistica ma che in realtà è invasione! Abbiamo diritti su questa città più di quanto ne abbiano soprintendenza e curia! Chiediamo le loro stesse opportunità, vogliono la libertà di decidere che città debba essere Pompei.»
Si evince benissimo il sentimento dei pompeiani in queste parole. Seguiremo questa storia e vi terremo al corrente dei fatti.
Giovanni Cervero