Dalla sovranità nazionale all’identità, la sinistra scopre i valori «proibiti»
Ha iniziato lo storico francese Michéa e molti, anche in Italia, l’hanno seguito.
Rendendosi conto di come i progressisti si siano asserviti all’élite dimenticando gli interessi dei popoli. E dei territori in cui vivono
di Francesco Borgonovo
Ci è voluto tanto, troppo tempo. Ma alla fine qualcosa si muove. Qualcuno, nel complicato universo culturale della sinistra italiana, comincia a rendersi conto dei clamorosi errori storici commessi. In particolare quelli che riguardano alcuni concetti centrali come la patria e l’identità. Mettiamola così, per farla semplice: ci sono pensatori di sinistra che stanno riscoprendo alcuni temi e valori solitamente associati alla destra. Osservando tale tendenza si ha la tentazione di gongolare e di abbandonarsi al risentimento ghignando: «Ah, ci siete arrivati, finalmente! Dopo averci infamati e insultati per anni, adesso vi accorgete degli sbagli clamorosi che avete fatto!». E invece no, non bisogna affatto lasciarsi prendere la mano. Intanto perché, su certi argomenti, pure la cosiddetta «destra» italiana ha parecchie cose da rimproverarsi. Ma, soprattutto, perché finalmente si trova un terreno di dialogo comune, che potrebbe consentire di confrontarsi al di là degli steccati ideologici e dei pregiudizi, onde farla finita una volta per tutte con i concetti polverosi di «destra» e di «sinistra». Da parecchio tempo ormai il conflitto politico non si svolge su un piano diciamo «orizzontale», con i «fasci» da una parte e i «compagni» dall’altra. La divisione, semmai, è verticale: le élite di sopra e il popolo di sotto. La lotta è tra il turbocapitalismo modellato sui flussi finanziari (per sua natura volatile e globale, «sconfinato» ) e i popoli che invece sono radicati su un territorio, e loro malgrado di trovano ancorati alla realtà solida e durissima.
La sinistra italiana ed europea ha in gran parte abdicato alla difesa del popolo, per concentrarsi sulla tutela dei «diritti» di minoranze perseguitate di vario ordine e grado: gli omosessuali, le donne, gli immigrati, insomma chiunque avesse da esprimere insoddisfazione per essere stato escluso dal banchetto del consumismo mondializzato. Il risultato è il paradosso che abbiamo sotto gli occhi: «destra» e «sinistra», oggi, sono quasi indistinguibili. Entrambi gli schieramenti si proclamano «liberali» e spesso sono i cosiddetti «democratici» a rappresentare meglio di tutti gli interessi della grande finanza, delle compagnie transnazionali, delle banche. Basti pensare ai rapporti del governo Renzi con colossi come JP Morgan o a quelli di Hillary Clinton con tutte le lobby più potenti.
A descrivere come la sinistra si sia gettata fra le braccia delle élite è un meraviglioso e documentatissimo libro di Paolo Borgognone (apprezzato collaboratore di questo giornale), uno studioso che è partito da sinistra e negli anni ha superato tutte le barriere e infranto tanti tabù. Il suo saggio L’immagine sinistra della globalizzazione (Zambon) è una lettura imprescindibile per capire come sia avvenuta, sul versante progressista, «l’adesione incondizionata a una rinnovata tipologia di capitalismo, il capitalismo globalizzato e distruttore di ogni identità e legame (di classe, di nazione, di genere) collettivi, in nome dell’imposizione di una nuova forma di colonizzazione integrale dell’immaginario dei singoli». Borgognone va alle radici del problema e mostra come la sinistra si sia piegata a tutte quelle forze «tendenti a sopire, rifiutare e stigmatizzare i concetti di patriottismo e di sovranità nazionale e culturale degli italiani». Persino la sinistra radicale, per anni, non ha fatto altro «che vedere operai e contadini laddove c’erano anche degli italiani».
A mettere per primo il dito nella piaga, in Europa, è stato lo storico francese Jean-Claude Michéa, di cui non molto tempo fa Neri Pozza ha pubblicato il pamphlet I misteri della sinistra, dedicato proprio a questa «mutazione antropologico» dei progressisti. La sua lezione è stata raccolta in modo magistrale da Charles Robin, che è più o meno coetaneo di Borgognone e non a caso porta avanti, sempre in Francia, le medesime battaglie, concentrate in un libro scoppiettante appena uscito per l’editore Controcorrente e intitolato La sinistra del capitale e dell’Alta Finanza.
Qualche idea vivace è balzata fuori da questi testi per capitare, forse inconsapevolmente, in un altro libro molto interessante, appena pubblicato da un nume della sinistra italiana, lo studioso Carlo Formenti. Il suo saggio s’intitola La variante populista (DeriveApprodi) e, seppur con qualche resistenza in più – dovuta al passato di militanza dell’autore – giunge a conclusioni molto coraggiose, considerato l’ambiente fumantino a cui si rivolge. Formenti sostiene che la sinistra deve battersi per «la sovranità popolare e nazionale contro le oligarchie transnazionali». Parla del populismo senza il consueto ribrezzo, anzi ne celebra le virtù, e spiega: «Le sinistre hanno solo da imparare dalle esperienze populiste. Anche da quelle di destra! Capisco che è dura da digerire, ma è evidente che negli ultimi anni le sinistra (tutte!) hanno regalato ai populismi di destra la rappresentanza degli interessi delle classi inferiori».
Difendere la «sovranità nazionale» significa, semplicemente, difendere la patria. Combattere contro chi vuole trasformare gli italiani in una massa di sradicati senza identità, pronti a piegarsi ad ogni forma di sfruttamento. Anche a sinistra, ora, qualcuno se ne accorge. Benvenuti, compagni. E lo diciamo con affetto.